La terapia della Compassione

Cos’è la Compassione e perché può interessarci come terapeuti ?

E’ una finta domanda, ovviamente, perché se c’è una figura alla quale associamo la Compassione, come qualità fondamentale del suo operato, è certamente quella del datore di cura.

A tal punto forte è la necessità di questa qualità che, quando non è presente,  facciamo scadere drammaticamente tutto il progetto e la strategia terapeutica.

Ma dove si insegna la Compassione ? L’Università in qualsiasi formazione non addestra il curante a questa qualità/disciplina, e per molto tempo è rimasta appannaggio di percorsi di autoformazione a carattere mistico-spirituale.

E in fondo è giusto così. Ma grazie al lavoro di paziente tessitura che la ricerca scientifica, sostenuta da figure carismatiche come il Dalai Lama ha portato avanti per aiutare il mondo occidentale a comprendere con i suoi metodi saperi antichi del patrimonio culturale d’Oriente, oggi siamo in grado di conoscere le basi scientifiche della Compassione e comprenderne gli effetti sul sistema psiconeuroendocrinoimmunitario.

La Psicologia grazie a Paul Gilbert, cattedratico britannico di Psicologia clinica,  qualche decennio fa ha fatto un balzo in avanti  con una sistematizzazione della terapia cognitivo-comportamentale focalizzata sulla Compassione. Questo approccio clinico  aiuta il paziente ad accogliere integralmente ciò che è e a trovare le risorse per riequilibrare i sistemi di Difesa, Ricerca di risorse e Appagamento.

E ancora, più recentemente  sul filone della Mindfulness, la prima disciplina mente-corpo ad essere indagata e riconosciuta dalle evidenze scientifiche come  influente strategia di sostegno in ogni processo di cura, con Kristine Neff,  è nata la Self Compassion, con uno specifico protocollo di lavoro che aiuta l’individuo a raggiungere la consapevole e piena accettazione di sé.

Perché Self Compassion vuol dire accogliersi, certo, ma farlo non con spirito di rassegnazione, di accettazione passiva, quanto invece con una forza inaspettata che ci ricorda la Fiducia, in noi stessi,  in ciò che siamo, nel nostro potenziale che ci permette di superare gli ostacoli.

E’ allora che la Compassione diventa quell’abbraccio che, oltre al calore, ci trasmette l’augurio del meglio per tutto ciò che siamo, di cui possiamo avere bisogno , che possiamo sperare.

Così cominciamo da noi a coltivare questo atteggiamento compassionevole, che si rivela molto attivante e trasformante, che mette in moto le nostre migliori risorse e rivelando insospettate possibilità anche in quegli atteggiamenti che magari prima pensavamo fossero poco utili o accettabili per il nostro contesto.

Per me, ad esempio,  dopo anni di efficienza pura, passati a combattere la pigrizia, mi sono accorta che potevo accoglierla, ascoltarla, darmi il tempo di osservarla con occhi nuovi. E’ così che la Pigrizia si è rivelata, trasformandosi  nella mia migliore alleata, ovvero nella capacità di riconoscere quando mi devo fermare e recuperare energie. E da quando ho colto il messaggio devo dire che sono diventata molto più efficace nel mio operato.

Perciò è tempo di guardare noi stessi  con occhi “compassionevolmente attivi”, proprio così come siamo, e  scoprire i nostri talenti senza pregiudizi, a volte anche nelle pieghe di quelli che per anni abbiamo considerato nostri difetti.

 

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Il Cibo Amico

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